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domenica 12 febbraio 2012

“Allora, a cosa serve la prevenzione?”




Non si è ancora spenta l’eco della morte di Ludovica Buzzetti, la giovane oncologa deceduta una settimana fa a causa di un tumore della mammella, diagnosticato mentre stava allattando.
Questa notizia, com’era prevedibile, ha colpito tutti ma in particolare ha riacceso le paure sopite delle tante donne che hanno combattuto e stanno combattendo la stessa battaglia.
Le Giovani Marmotte e le marmotte meno giovani sono agitate, molto agitate. E sono agitate anche le dottoresse, che in quanto donne non sono immuni alle stesse paure, anche se cercano di mascherarle.
Penso che convenga rimettere un po’ in ordine i pensieri e ridimensionare le paure con un briciolo di razionalità.
Le domande più pesanti, che mi sono state poste, sono essenzialmente due, una di ordine medico ed è “allora, a cosa serve la prevenzione?” e l’altra ,di ordine filosofico, è condensata nella solita parola “perché” seguita dal solito punto interrogativo.
Per la prima domanda, occorre ribadire a gran voce che la prevenzione serve. Serve per prendere in tempo e per vincere il tumore della mammella.
L’errore, che comunemente si fa, è quello di considerare il tumore della mammella come una realtà singola, Invece esistono tanti tipi di tumori. Si può dire che ogni paziente è un caso a sé, anche se per motivi scientifici noi medici tentiamo di raggrupparli in categorie.
Per i tumori estremamente aggressivi, che si diffondono immediatamente in tutto il corpo, la prevenzione non serve, e quello di Ludovica era uno di questi.
Per fortuna sono rari. Nella maggioranza dei casi, infatti, i tumori che nascono nella mammella hanno una crescita che segue dei parametri conosciuti, che ci permettono di intervenire in una fase “precoce”, con diagnosi tempestive e terapie appropriate, ed in sintesi ci permettono di guarirli.
Guarire in oncologia è una parola importante e difficile, da usare quindi con attenzione, perché sappiamo che a volte il tumore può ripresentarsi a distanza di molti anni (anche 10 - 20). Noi medici sappiamo che la battaglia non è mai finita, per questo teniamo le donne operate sotto controllo (il famoso “follow-up”).
Ma non possiamo non dare loro speranza o farle vivere perennemente nell’incubo del tumore (che vita sarebbe?), proprio perché tanti tumori, presi in tempo e curati in modo corretto, non si ripresenteranno più.
Ma dare speranza non deve significare credersi onnipotenti. Nessun medico è onnipotente, anzi è un errore immenso ed imperdonabile credersi tale.
La nostra medicina così tecnologicamente evoluta non può annullare la morte. Neppure è pensabile una medicina che in un futuro, anche molto lontano, lo possa fare.
La morte di Ludovica, come la morte di chiunque, giovane o vecchio che sia, ci ha ricordato la realtà che nessuno è immortale e ci ha costretto a riflettere sulla nostra stessa morte, e quindi sul senso della vita e sulla priorità dei nostri valori.
Queste riflessioni sono fonte di inquietudine profonda.
Infine per quanto riguarda la seconda domanda (“perché?”) non ho risposte o meglio non voglio dare risposte. Ognuno le deve cercare nel profondo del proprio cuore e non è detto che le trovi.
So che una risposta c’è, anche se non riesco ad affermarne il senso, almeno questo è quello che mi ha insegnato Ludovica, l’ultima volta che l’ho vista e che con un distacco un po’ surreale mi ha parlato della morte e della vita, che comunque continua nel suo bambino.


Dr Giorgio M. Baratelli
Chirurgo Senologo
Direttore dell’Unità di Senologia, Ospedale Moriggia-Pelascini di Gravedona





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